Introduzione
In questi mesi così complicati e tragici in molti cercano di scorgere qualcosa di positivo nella pandemia, ad esempio la presunta maggiore solidarietà fra i cittadini oppure l’inizio di una nuova era di collaborazione sovranazionale per fini sanitari, con l’obiettivo di una salute globale e universale. Una salute universale per la quale però occorre che ogni sistema nazione sia dotato di capacità collaborative ed evolutive.  E’ triste constatare che occorreva una pandemia globale per ricordarci l’importanza per ogni Stato di avere un servizio sanitario efficace e pubblico, in grado di preservare la salute dei cittadini. Inoltre il Covid-19 ha costretto molti Stati, e di conseguenza i suoi cittadini, ad adottare nuove forme di cura e assistenza, dall’aiuto reciproco al distanziamento sociale e all’auto-isolamento per tutelare la salute altrui, oltre che la propria. Un modo di concepire l’idea di salute che si sposta dalla sfera individuale a quella collettiva della comunità e che mette in evidenza la crisi di un assistenza basata su servizi di tipo aziendalistico come il Servizio Sanitario Nazionale e l’esigenza di nuovi modelli flessibili e sistemici ovvero di un Sistema sanitario Nazionale.
Queste nuove forme di cura dell’Altro, nel senso più ampio del termine, mettono in discussione decenni di riduzione del welfare e della solidarietà, in nome di un individualismo che negli ultimi tempi ha assunto nuove denominazioni e descrizioni, come i concetti di benessere della persona, di autocura e, per ultimo, di resilienza. Quest’ultimo termine in particolare è diventato una sorta di mantra negli ultimi anni per indicare la capacità di riprendersi da eventi dannosi ma che, soprattutto se usato in riferimento all’individuo, lo responsabilizza nei confronti di una mancata capacità di opporsi ad eventi avversi, quasi che la famigerata resilienza sia una dote innata, un talento che si possiede oppure no e non invece una condizione, una contingenza di più fattori, alcuni individuali ed altri sociali, culturali ed economici.
Queste denominazioni, questi concetti nuovi o antichi, vengono promossi da un mondo politico- economico-industriale che, sebbene si debba riconoscere la necessità di tenere i conti pubblici sotto controllo, ha evidenziato i suoi  limiti intrinseci, come l’idea di voler ridurre la cura e l’assistenza a qualcosa che si può, o si deve, acquistare secondo le proprie possibilità e non considerarle invece un diritto universale, come garantito dalla nostra Costituzione.
L’altro aspetto “positivo” della pandemia dovuta al Covid 19 è l’aver dimostrato la profonda interdipendenza che esiste in campo medico e sanitario non solo a livello locale ma anche globale. Non sempre questo aspetto viene colto soprattutto dagli organi di informazione e dai social-network, anzi a volte essi concorrono a diffondere pregiudizi e paure che diventano terreno fertile per politiche di protezione nazionalistiche, se non addirittura discriminatorie e razziste. 112021 -Maria Paola Pofi, Leung Wing-Fai, Responses to health risk and suffering: ‘China’ in the Italian media discourses during the early stage of the Covid-19 pandemic . Journals.sagepub.com.
Se il Covid 19 non sarà reso innocuo a livello mondiale prima o poi le sue varianti torneranno a diffondersi a dispetto di qualsiasi frontiera, fisica o politica. Ma anche a livello locale occorre la collaborazione fra tutti per ridurre i rischi di contagio, come ha dimostrato l’efficacia delle misure di sanità pubblica, integrandole magari con l’uso di metodiche che facilitino il cambiamento culturale nei soggetti più dubbiosi o restii ad accettare tali misure.
Per valutare e approfondire queste interdipendenze è opportuno avere uno sguardo di tipo sistemico, che non si focalizzi né sull’ estremamente ampio né sul particolare circoscritto. Uno sguardo che sappia variare la propria messa a fuoco, così come fa un’ottica zoom in campo fotografico, passando dalla visione grandangolare, ampia e panoramica, al  dettaglio minuto che permette un teleobiettivo.